Sentenza Foodora: 5 punti su cui lavorare
Cosa dice la sentenza Foodora sul mondo del lavoro? Ha ancora senso parlare di lavoro subordinato o lavoro autonomo nel 2018? Abbiamo provato a riassumere le diverse opinioni in 5 punti.
La sentenza Foodora in questi giorni ha scaldato gli animi degli addetti ai lavori e opinionisti vari. Foodora è un’azienda tedesca che si occupa della consegna a domicilio del cibo. Vuoi ordinare del cibo e fartelo consegnare a casa? Niente di più semplice. Dal tuo smartphone apri l’apposita app, ricerchi il ristorante, effettui l’ordine e dopo qualche minuto arriva il rider sotto casa tua.
Lavorare nella Gig Economy
I riders sono i fattorini che con la loro bicicletta effettuano il ritiro e la consegna del cibo. Loro non sono, però, dipendenti dell’azienda.
Foodora appartiene, infatti, alla cosiddetta Gig economy, ossia l’economia dei lavoretti. In altre parole se una persona ha del tempo libero e vuole arrotondare con qualche lavoretto esistono apposite app che incrociano domanda e offerta. Nel caso di Foodora il lavoretto è appunto quello del fattorino.
Fino qui nulla di strano, se non fosse che il lavoretto, in molti casi, diventa lavoro. E qui iniziano i problemi perché i lavoretti son pagati davvero poco e per guadagnare un cifra che abbia un po’ di senso bisogna dedicare più tempo al lavoro, essere sempre disponibili, seguire le direttive della casa madre, non ammalarsi e correre il più possibile. In altre parole il guadagno non è proporzionato all’impegno richiesto e così il lavoretto inizia a prendere la forma di sfruttamento del lavoratore. Spesso l’opinione pubblica vede la Gig economy come un modo per raggirare le leggi sul lavoro dei diversi paese. A pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca.
Ne avevamo già parlato nel post dove distinguevamo la Sharing economy dalla Gig economy.
I fatti di Torino
Nella fattispecie, 6 riders di Foodora a Torino avevano protestato nel 2016 per chiedere un trattamento economico e normativo più equo. A seguito delle proteste è arrivata l’interruzione del rapporto di lavoro per i 6 ragazzi. Così, venendo ai giorni nostri, il passo successivo è stato il ricorso dei 6 ragazzi che il Tribunale di Torino ha respinto in quanto li ha considerati collaboratori autonomi non legati da un rapporto di lavoro subordinato con l’azienda.
In effetti la materia è piuttosto delicata e dai contorni piuttosto incerti. Ci affacciamo a un nuovo mondo dell’economia che rimette in discussione tutto quello che è il mondo del lavoro. Dai dibattiti che si sono succeduti alla sentenza potremmo così sintetizzare i 5 punti chiave che sono emersi:
1) I gig workers non sono nè lavoratori autonomi nè subordinati.
Il quadro normativo vigente si fonda su due categorie di lavoratori: dipendente subordinato e lavoratore autonomo.
Se la sentenza del tribunale ci dice che i riders non sono lavoratori subordinati perchè il rapporto di continuità non c’è, la disponibilità dei riders è personale, scelgono di accettare deliberatmente questo tipo di rapporto, non c’è l’indicazione ferrea dei tempi e dei modi su cui si regola il rapporto di lavoro.
E’ anche vero però che vengono richiesti un minimo di ore settimanali ai riders, che vengono stipulati con loro contratti co.co.co con indicata la durata del rapporto. L’azienda affida le consegne in base ai risultati e alla disponibilità dei riders. Ogni movimento del rider è tracciato per mezzo dello smartphone con gps, quasi fosse un braccialetto elettronico.
Insomma ai riders vengono dati tutta una serie di vincoli che li fanno assomigliare più a dei lavoratori dipendenti piuttosto che a quelli autonomi.
2) Necessità di un quadro normativo chiaro.
Come detto pocanzi il quadro normativo vigente si fonda su due categorie di lavoratori: dipendente subordinato e lavoratore autonomo. Come abbiamo visto nei fatti i lavoratori della gig economy non apparetengono né l’una né l’altra categoria. Queste due categorie che già in passato erano troppo riduttive a descrivere le diverse sfaccettature del mondo del lavoro risultano insufficienti a immaginare quello che sarà il lavoro del futuro.
Stiamo assistendo a una nuova riorganizzazione del mondo del lavoro che necessita di essere descritta in modo diversa.
Al momento la sentenza del tribunale di Torino detterebbe la linea nei confronti di queste nuove figure. Ma dipendere dalla sentenza della magistratura può essere un errore. Se le categorie vigenti sono inadatte per descrivere la figura del gig worker è altresì vero che un magistrato per emettere sentenza deve utilizzare proprio questo genere di categorie. Per considerare lavoratore autonomo un rider è tanto sbagliato quanto considerarlo subordinato.
3) Innovazione tecnologica.
Se non esistevano gli smartphone app come quella di Foodora non avrebbero avuto il successo e la diffusione che hanno.
La tecnologia è talmente presente nella vita di ogni singolo cittadino che non può essere considerata come un fattore esogeno, bensì come parte integrante dell’evoluzione stessa del mondo del lavoro.
E’ come se stessimo assistendo a un processo di ibridazione fra uomo e macchina. Se consideriamo l’avvento dei robot, degli esoscheletri e dell’intelligenza artificiale è evidente che avranno un impatto rivoluzionario nel mondo del lavoro e più in generale nell’economia.
L’innovazione tecnologia viaggia talmente veloce che è quasi impossibile programmare e progettare a 5 anni. Le aziende stesse si ritrovano davanti a così tante innovazioni che l’unica strada sembra quella di sperimentare la novità. Per cui utilizzare vecchi schemi in un mondo completamente rivoluzionato è alquanto anacronistico.
4) Non esiste la tecnologia buona e quella cattiva.
La tecnologia non è per definizione nemica o amica dell’uomo. La tecnologia è neutrale da questo punto di vista. Ma un tratto significativo della tecnologia è che rispecchia i valori di chi la progetta (cit. Luca De Biase). Il fattore umano della tecnologia emerge a monte, da chi idea e realizza una determinata innovazione tecnologica.
5) Partecipare all’innovazione tecnologica.
Se la tecnologia rispecchia i valori di chi la progetta allora si può rimettere al centro il ruolo dell’imprenditore ma anche e soprattutto quello del lavoratore. Si può pensare a una nuova fase dove entrambi i soggetti si siedono attorno a un tavolo per discutere quella che sarà l’innovazione tecnologica, come questa possa portare un vantaggio all’azienda e al singolo lavoratore. Probabilmente verranno immaginate nuove forme di retribuzione e di flessibilità.
La tecnologia senz’ombra di dubbio sostituirà posti di lavoro e ne creerà di nuovi. La macchina può sostituire l’uomo ma lo può anche aiutare nei lavori usuranti o realizzare nuove forme di lavoro come nel caso del telelavoro. Da un lato ci troviamo con la minaccia del mondo che verrà e che non riusciamo a immaginare, ma dall’altra questa rivoluzione può essere l’opportunità di ridiscutere i ruoli, ripensare il lavoro in azienda che non dovrà essere necessariamente subordinato e coordinato ma seguirà più logiche di rete e relazioni.